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Arthur Rimbaud SAGGI & MISCELLANEA - Pagina 3

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enfant maudit
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Musicality


DA BLAKE A RIMBAUD: INFLUENZE LETTERARIE NELLA POETICA DI BOB DYLAN

di Paolo Granata

Le parole di nessun altro cantante sono state studiate, analizzate, interpretate, discusse quanto quelle di Bob Dylan, la cui influenza nell'ambito della musica rock è stata più profonda d'ogni altra nella seconda metà del secolo che sta per concludersi.

È stato definito il "portavoce della sua generazione", e per milioni di persone la sua musica evoca ancora l'esperienza e i fermenti degli anni Sessanta. I brani che egli ha composto in quel periodo si muovevano in parallelo con il movimento giovanile; a partire dal folk revival del Greenwich Village, e poi attraverso la protesta contro la guerra in Vietnam e altre iniquità sociali, gli esperimenti con gli stupefacenti, il fascino della vita rurale, la conversione mistica e la successiva disillusione.

Le canzoni di Bob Dylan sono state capaci di influenzare e trasformare la nostra vita. Eppure è a lungo sfuggito a domande e indagini, rifugiandosi in una sorta di fragilità arrogante, talora snobistica, spesso urtante. Terrore, impotenza, impenetrabilità, allusioni misteriose, una trama di vocaboli senza una chiave di decifrazione. tutto questo è Bob Dylan. Un cantautore che ha saputo schiudere una stagione di fiducia e di speranze, in cui la musica pareva dilatarsi a linguaggio e a spiegazione universale, a veicolo di conoscenza e d'identificazione collettiva.

In questo senso, la più grande conquista di Dylan è stata quella di aver contribuito a rendere nuovamente popolare la poesia. Il suo merito letterario è proprio quello di aver conferito, nei suoi aspetti moderni, nuova dignità alla tradizione orale della poesia.

Il "cacarime esuberante e caotico venuto dal Minnesota" - come lo ha descritto il suo principale traduttore italiano, Tito Schipa Jr. - è riuscito a farsi conoscere e imitare in tutto il mondo come un trovatore dei giorni nostri, immediatamente accettato dai mass media e dal pubblico, riportando la poesia alle sue più antiche origini: il canto.

in questo saggio si è tentato di indagare e ripercorrere alcuni momenti della carriera di Dylan focalizzando l'attenzione sulle influenze letterarie - le «istituzioni esplicite e dichiarate che, nell'ambito di una poetica, si dichiarano in canoni riflessi» - nei testi delle canzoni percorrendo un percorso che parte dalla tradizione della canzone tradizionale americana, passa per la Beat Generation, incontra i simbolisti francesi e i visionari e romantici inglesi, per poi giungere ai profeti, ai santi, agli apostoli delle Sacre Scritture.

Lo stesso Dylan aveva messo in guardia chi avrebbe tentato di decifrare quelle "regole" nascoste nella sua visione del mondo, nella manifestazione della sua arte, di se stesso; ed è con queste parole che si vuole avviare questa ricerca, perché in esse trova già il suo compimento:


«no io devo reagire e sparare veloce / sputando da pistole di parole / fatte su motivi / che son passati attraverso gli anni ingenui / provocandomi a dargli il giusto trattamento / a rimodellarli a riaccordarli / per proteggere il mio mondo personale / dalle bocche di quelli / che lo avrebbero masticato / e impedito a nutrirsi del proprio cibo / trarre suoni nuovi da vecchi suoni / e parole nuove da vecchie parole / e non preoccuparsi delle regole / perché ancora non sono state fatte / e urlare la mia mente canterina / sapendo che sarò io e quelli come me / a fare quelle regole. / se la gente di domani / ha davvero bisogno delle regole di oggi / fatevi attorno voi tutti pubblici ministeri / il mondo non è che un tribunale».

Bob Dylan - composition
LA BEAT GENERATION

Quando Dylan pubblica il suo primo album è ispirato dall'atmosfera americana di quel periodo, epoca in cui la protesta negli USA stava diventando un movimento di massa, cessando di essere appannaggio di uno sparuto gruppetto di ideologi di sinistra.

Le radici della protesta degli anni Sessanta affondavano nel fertile terreno degli anni Cinquanta, quando idee conservatrici e interessi personali dominavano la gioventù americana. A quel tempo criticare il sistema americano era non solo troppo poco attuale ma anche decisamente pericoloso. In quegli anni, infatti, quanti dissentivano a voce un po' troppo alta potevano aspettarsi di essere portati davanti al comitato della Camera dei Rappresentanti o della Sicurezza interna del Senato. La guerra fredda contro la sinistra, contro i dissidenti o anche contro i liberali indipendenti negli ambienti artistici, aveva lentamente coperto di gelo tutto il paesaggio culturale. Gli artisti cominciarono a sentire l'esigenza di una sempre maggiore libertà di movimento.

Una prima forma di dissenso negli Stati Uniti arrivò con i nuovi comici come Lenny Bruce, Lord Buckley, Mort Sahl, i quali trovavano un lato sinistramente comico i quegli anni di repressione.

Un'altra ondata di dissenso negli anni Cinquanta fu espressa dai poeti e dagli scrittori beat: Allen Ginsberg, Lawrence Ferlinghetti, Jack Kerouac, Gregory Corso, David Salinger, William Burroughs - per citarne alcuni - i quali avevano dell'America differenti visioni. Su questo terreno nacque quella che fu definita la beat generation, caratterizzata da atteggiamenti ostinatamente ribelli, anticonformisti, asociali, influenzati dall'esistenzialismo e da filosofie orientali come lo Zen. Gli aderenti a tale movimento vennero chiamati anche beatnik, fusione del termine beat che significa deluso, fallito, frustrato e la fine della parola sputnik[iv][4], che rappresentava il mondo di allora, dominato dalla tecnica. Introducono l'uso delle droghe nella cultura occidentale, ritenendo, infatti, che l'uso di sostanze che alterino la percezione possa avvicinare l'uomo all'esperienza del trascendente e lo liberi dai legami con lo squallore e i vizi del presente. Vengono prediletti gli allucinogeni, l'LSD soprattutto, ma anche l'hashish e la marijuana. Di queste ultime, negli anni Sessanta, comincia a farsi un consumo di massa: lo "spinello" diventa un rito collettivo cui moltissimi giovani si accostano senza inibizioni.

Gli scrittori della beat generation danno alle stampe romanzi di rottura e di rivolta, spesso autobiografici. Nel 1951 esce Il giovane Holden di David Salinger, che esprime il disincantato distacco dei giovani da una società che giudicano falsa ed ipocrita. Qualche anno più tardi, nel 1957, Jack Kerouac riesce finalmente a pubblicare il suo capolavoro, Sulla Strada, scritto sei anni prima, in sole tre settimane, sotto l'effetto della benzedrina. È il manifesto di una nuova generazione, inquieta, dedita alle droghe e all'alcool, ma dotata di grande vitalità e tensione mistica. Kerouac costruisce il suo universo letterario intorno ad elementi ricorrenti: il nomadismo, il misticismo orientale, la continua ricerca dell'io attraverso droghe, musica, esperienze.

A partire dagli anni Sessanta la disperazione romantica espressa dai beat evolve verso il militantismo pacifista. Allen Ginsberg è tra i pochi a sposare la transizione del movimento beat verso l'era "hippy". Riscopre l'impegno politico e si unisce - e come lui altri vecchi beatnik - alle manifestazioni contro la guerra del Vietnam. Poeti vicini alle beat generation - come i Fugs di New York - creano gruppi musical-teatrali per diffondere la nuova contestazione. Il movimento hippy assumerà in seguito - si svilupperà soprattutto a San Francisco, nel quartiere dell'Haight Ashbury - un atteggiamento meno individualistico, come era stato per i poeti beat, predicando il principio della fusione dell'ego nel gruppo, la liberazione sessuale, e la partecipazione alla vita del cosmo.


POETICA BEAT

Quando nel 1951 Kerouac inizia la stesura definitiva di Sulla strada, ha un'idea fissa: ritrovare quel flusso naturale e spontaneo, quello stile "di getto" che tanto aveva ammirato nel suo idolo, Neal Cassady. Affinché l'ispirazione non s'interrompa decide di battere il manoscritto su un unico rotolo di carta lungo quaranta metri. Per tre settimane lavora sotto l'effetto delle anfetamine, accordandosi al ticchettio della macchina da scrivere, quasi a seguire l'armonia di un ritmo interiore, cadenzato da uno swing di sillabe e parole, percependo la pulsione del romanzo come un ininterrotto e frenetico ritmo simile a quel be-bop che musicisti jazz come Charlie Parker, Thelonious Monk, o Dizzy Gillespie, stavano portando alla ribalta negli ambienti "sotterranei" di New York.

In Kerouac sono presenti, sia nel racconto che nel dialogo, implicazioni anarchiche. Vengono spesso usate espressioni oscene, ma ciò avviene con una grande intensità, dando molta importanza alle parole, soprattutto quelle primordiali come fame, sete, padre, madre, figlio. In altre parole egli tende ad una scarnificazione del linguaggio, che lo liberi dalla sua origine lirica. Il lavoro degli scrittori della beat generation è quindi ricerca di mezzi espressivi primordiali, di valori morali originali, preziosi per la liberazione dai condizionamenti del mondo contemporaneo.

La poesia di Allen Ginsberg riflette gli stessi accenti del flusso compositivo percepito da Kerouac attraverso la musica jazz. «Lavoro con i miei impulsi nervosi, ritmici. È la differenza tra scrivere una poesia secondo una metrica prestabilita e seguire un movimento fisiologico, per giungere ad una forma che può avere un nome, ma a cui si arriva in modo più organico che sintetico», dichiarerà Ginsberg in un'intervista del '56.

Le sue pratiche di scrittura riproposero nell'universo urbano e tecnologico un recupero di tensioni visionarie e oniriche, vitalistiche, integristiche.


DYLAN POETA BEAT

Dopo l'esperienza all'Università del Minnesota - dove era entrato in contatto con il clima culturale dominato dalla poesia beat - nel gennaio del 1961 Dylan si trasferisce al Greenwich Village di New York, epicentro di quella controcultura che i poeti beat avevano contribuito a creare fin dagli anni '50.

Fino a quel momento la poesia beat aveva modellato il ritmo del flusso letterario sulle cadenze sincopate della musica jazz. Con l'emergere del fenomeno folk quello stile riesce a trovare uno sbocco diretto in una musica che non è più solamente strumentale e ritmica, ma si esprime attraverso la parola cantata e, quindi, con affinità precise al mondo letterario. Dylan esprimerà al meglio, attraverso la propria musica, la poetica che i beat avevano espresso fino allora solo attraverso altre forme artistiche.

Ecco come, in una conversazione con Allen Ginsberg a proposito di un concerto di Dylan al quale avevano assistito, Fernanda Pivano descrive il momento: «I ragazzi ripetevano i versi e Ginsberg mi diceva che quella era la nuova generazione, quello era il nuovo poeta; e mi chiedeva se mi rendevo conto di quale mezzo formidabile di diffusione disponesse adesso "il messaggio" grazie a Dylan. Ora, mi diceva, attraverso quei dischi non censurabili, attraverso i jukeboxes e la radio, milioni di persone avrebbero ascoltato la protesta che l'establishment aveva soffocato fino allora col pretesto della moralità e della censura». Ginsberg si esprimerà in seguito con gli stessi toni: «Vedere se la grande arte poteva essere realizzata per mezzo di un jukeboxe costituiva una sfida, ma [Dylan] dimostrò di essere in grado di farlo».

Nel primo album pubblicato da Dylan pochi mesi dopo essere arrivato a New York, affiorano alcuni degli elementi espressivi che imparentano Dylan alla poetica dei beat. Egli, ad esempio, rifiuta di registrare più volte lo stesso brano, affidandosi all'istinto e all'improvvisazione; come se cercasse di fotografare il momento in cui l'impulso creativo emergeva; cercando di non snaturarlo o falsificarlo. Questo avveniva sia nella composizione dei testi che nelle esecuzioni in studio di registrazione.

Cosi si esprimerà in un'intervista del 1965:

«Scrivo ovunque mi capiti. A volte passo un'intera giornata seduto ad un tavolo d'angolo in una caffetteria, scrivendo qualsiasi cosa mi passi per la mente. proprio qualunque cosa. [.] Quando compongo non penso. Sono dei semplici moti di reazione che fisso sulla carta»

Il quel periodo, infatti, Dylan usava portare con sé una macchina da scrivere attraverso la quale poter incanalare il proprio flusso creativo, ed esprimere quei "moti di reazione" scatenati spesso - in particolare nel periodo del folk revival e della canzone di protesta - da avvenimenti tratti dai quotidiani che egli non si limitava semplicemente a raccontare attraverso la propria musica, ma, anzi, utilizzava come valvola di sfogo della propria prolificità artistica che la forma della poesia beat era riuscita ad attivare e catalizzare.

Il suo accostamento alle tematiche beat sarà rafforzato dall'influenza diretta di Allen Ginsberg - anche se Dylan ha più volte dichiarato di aver cominciato a scrivere canzoni soltanto dopo aver letto Mexico City Blues di Kerouac - che conoscerà negli ambienti del Village. A quanto pare fu per merito di Ginsberg che Dylan poté conoscere ed assimilare lo stile degli scrittori beat; stile attraverso il quale egli riuscì ad esprimersi con naturalezza e spontaneità.

Nel 1965 girarono assieme il video di <>Subterranean Homesick Blues, diretto dal regista Donn Alan Pennebaker, che avrebbe fatto parte del film Don't Look Back, in realtà un documentario in bianco e nero di novanta minuti del breve tour inglese di Dylan nel maggio del '65. Nel testo di Desolation Row dello stesso anno è quanto mai evidente l'influenza di Ginsberg. La ballata si estende sui ritmi cadenzati della musica country e western & tradizionale; le immagini evocate, il meccanismo sintattico di formazione del testo, l'andamento cantilenante della voce ripercorrono le atmosfere di quei sogni e di quelle esperienze allucinogene descritte da Ginsberg.

Ma non è solo la concezione estetica dell'arte ad imparentare Dylan ai beat. Egli condivide con il movimento anche l'idea che musica e poesia devono essere strettamente collegate e la necessità di rinnovare i contenuti dell'industria culturale americana con opere più aderenti alla realtà sociale di quegli anni. Di qui il rifiuto dell'autorità politica e sociale, l'enfasi posta sull'uso della droga a scopo più o meno liberatorio, l'esaltazione dell'io in un mondo che cerca invece di omologare l'intera società. Da qui i primi segni del coinvolgimento alle tematiche della protesta per i diritti civili che Dylan esprimerà negli anni seguenti.

Quel che più conta, però, è la lezione espressiva che i beat insegnano a Dylan, cioè la possibilità di seguire l'ispirazione senza preoccuparsi di stravolgere i nessi logici a favore di una visione strettamente personale dei problemi del mondo.

Dylan ha saputo trasferire nel blues e nel folk la carica ritmica che aveva espresso il be-bop nell'avanguardia jazz degli anni '50, e che era considerata dai beatnik l'espressione diretta della cultura underground. Il successo di Dylan negli anni seguenti diede un enorme contribuito per ampliare la platea di quella cultura.


"TARANTULA"

Riflesso dell'influenza dei poeti beat e del periodo passato al Village di New York è Tarantula, il libro che Dylan cominciò a scrivere nel '63 ma che dovette aspettare fino al 1970 prima di essere pubblicato ufficialmente. Dylan giunse all'approccio adottato per Tarantula soltanto in seguito a numerosi e infruttuosi tentativi. Il libro probabilmente era stato concepito in principio come qualcosa di "storico" o perlomeno autobiografico, sulla linea degli 11 abbozzi di epitaffio, mentre in seguito si sarebbe rivelato come un viaggio surreale attraverso il linguaggio, simile a quelli che avevano compiuto quasi dieci anni prima Kerouac e Burroughs.

Nell'autunno del '63, Dylan conobbe Lawrence Ferlinghetti con il quale discusse della possibilità di pubblicare un libro con la sua celebre casa editrice, la City Lights, che aveva fino allora pubblicato tutti i più eccellenti poeti beat. Ecco come si espresse in quel periodo Dylan a proposito del libro che stava iniziando a scrivere:

«Sto scrivendo un libro.Parla della mia prima settimana a New York.Parla di qualcuno che è giunto alla fine di una strada, sa che davanti a sé c'è un'altra strada ma non sa esattamente dove, però sa che non può tornare indietro per la strada appena percorsa.».

Nell'album ANOTHER SIDE OF BOB DYLAN aveva pubblicato una raccolta di versi intitolata Some Other Kind of Songs, un'ammissione del fatto che, nonostante tutti i suoi sforzi, queste poesie free-form, rappresentavano qualcosa di diverso dalle sue canzoni. La raccolta rappresenta un passo in avanti rispetto agli 11 abbozzi di epitaffio e alle altre poesie che aveva scritto in quell'autunno segnato da memorabili incontri. Negli 11 abbozzi di epitaffio i versi sembrano interrompere il testo in punti in cui termina un pensiero e ne inizia un altro; mentre in Some Other Kind of Songs sembra che qualunque tipo di struttura rappresenti un impaccio; la punteggiatura - come aveva fatto per la prima volta Kerouac nella stesura originale di Sulla strada - è quasi del tutto assente. La raccolta anticipa direttamente le anfetaminiche scosse ritmiche che Dylan avrebbe in seguito impiegato in composizioni come Subterranean Homesick Blues o sembrano casuali intrusioni in una poesia-prosa che procede "a briglia sciolta"; in effetti tali poesie sembravano rappresentare lo stile verso il quale si stava indirizzando Dylan. Si percepisce un tipo di approccio poetico sempre più surrealistico, uno stile tipo "flusso di coscienza" che pone strati d'incongruenza sopra l'assurdo, anticipando il linguaggio di canzoni come Bob Dylan's 115th Dream o It's All Right Ma, che potrebbero essere definite delle vere e proprie poesie in prosa.

Tarantula venne fuori come il risultato dell'evoluzione del linguaggio di Dylan attraverso le influenze di quel periodo. L'opera riflette allo stesso tempo il linguaggio spontaneo di Kerouac e il cut-up di William Burroughs. La prosa e la poesia vengono assemblati in maniera apparentemente priva di logica; il testo prende forma e consistenza narrativa in maniera autonoma, liberando le parole dai percorsi obbligati della tradizione, rendendo più ampie le capacità espressive e più libere le immagini che con le parole si compongono.

La scelta del titolo non è mai stata motivata in maniera convincente. È probabile, secondo quanto ha affermato Clinton Heylin nella sua biografia, l'influenza di un saggio filosofico-scientifico ottocentesco intitolato appunto Tarantismo o malattia prodotta dalle tarantole velenose.

Nietzsche appare tra i crediti dell'album HIGHWAY 61 REVISITED, e sebbene lo stile di Così Parlò Zarathustra assomigli assai poco a quello di Tarantula, è possibile che, essendo un libro di poesie in prosa che ritraggono le visioni di un visionario viaggiante, abbia costituito per Dylan una sorta di modello al quale rifarsi. Sempre Heylin individua un altro libro di visionarie poesie in prosa che, sebbene ugualmente dissimile per stile, servì probabilmente anch'esso come fonte di ispirazione per Dylan: Una stagione all'inferno di Rimbaud.

I testi disarticolati, dove la sintassi appare sconvolta e i periodi si trascinano, si contorcono e smaniano come "tarantolati"; sono messaggi in codice, diretti a chi fa parte del suo mondo e della sua generazione.

Il linguaggio riflette l'amore giocoso di Dylan per la sapienza e l'idiozia delle parole; egli rappresenta un suo mondo che esso stesso si è creato e dal quale è venuto allo scoperto. In Tarantula si ritrova quel caos costante che aveva caratterizzato il film/documentario Don't Look Back; vi si riflette la lotta artistica incessante di Dylan al fine di trovare una forma d'arte atta ad esprimere la propria identità che attraverso il mito del "viaggio costante" si completa e allo stesso tempo evolve.

Gli occhi di Arthur - particolare
SULLE TRACCE DI RIMBAUD

«Il poeta si fa veggente mediante un luogo, immenso e ragionato sregolamento di tutti i sensi. Tutte le forme d'amore, di sofferenza, di pazzia; cerca egli stesso, esaurisce in sé tutti i veleni, per non conservarne che la quintessenza. [.] Egli giunge all'ignoto, e quand'anche, sbigottito, finisse col perdere l'intelligenza delle proprie visioni, le avrebbe pur viste!»

Così Rimbaud nella famosa Lettre du voyant ("lettera del veggente") esprimeva al coetaneo Paul Demeny le ragioni della sua ribellione morale mossa da un brutale furore ed una chiaroveggenza sommaria e allucinata, attraverso la quale si mosse fino al disgregamento completo di tutte le nozioni di ogni morale tradizionale e ragionata, e di tutta la tradizione poetica della Francia e del mondo intero.

La scoperta di un "altro Io" - un Io più autentico, l'unico e vero Io, ancora inesplorato, sepolto e confuso nell'inconscio - diventa la forza motrice attraverso la quale arrivare a ricongiungersi con "l'Intelligenza universale"; e l'esercizio della poesia rappresenta l'unico mezzo attraverso cui percepire questa entità dentro se stessi e manifestarla.

L'intuizione poetica diventa, quindi, l'unico vero mezzo di conoscenza. E questa nuova conoscenza del mondo può essere così raggiunta per via intuitiva e, quindi, comunicabile e afferrabile dagli altri soltanto allo stesso modo, per mezzo dell'immagine poetica.


DYLAN POETA SIMBOLISTA

Le parole di Rimbaud devono avere scosso davvero forte la mente Dylan che in quel periodo, attraverso le esperienze della poesia beat, stava avviandosi a diventare più sicuro di sé come artista e come poeta. Lo sconvolgimento dei propri sensi iniziato insieme agli amici beat attraverso sostanze allucinogene, allo scopo di incanalare il proprio flusso creativo ed esprimere i "moti di reazione" della propria mente, era destinato a trovare, nel manto visionario e ribelle di Rimbaud, nuovi orizzonti e nuove frontiere. Dylan riuscì a scoprire un modo di percepire la realtà e il proprio sé artistico alla stessa maniera in cui Rimbaud era riuscito a dissolvere la propria identità, pur conservando la "libertà" ribelle che lo caratterizzava.

Lo stesso Dylan dichiarerà, qualche mese dopo l'uscita di ANOTHER SIDE OF BOB DYLAN, di essere entrato più in contatto con il suo Io artistico, in una nuova dimensione di profondità che poteva essere percepita attraverso le sue canzoni:

«La grande differenza è che le canzoni che scrivevo lo scorso anno erano ciò che io chiamo canzoni unidimensionali, mentre le nuove canzoni che sto cercando di realizzare sono tridimenionali. Ci sono più simbolismi, sono scritte a più livelli».

Nella sua biografia di Dylan, il critico musicale Robert Shelton individua le prime tracce di una scrittura "a più livelli", profondamente influenzata dal simbolismo di Rimbaud, in canzoni come A Hard Rain's A-Gonna Fall e Bob Dylan's Dream che compaiono nell'album THE FREEWHEELIN' BOB DYLAN. Ma è nel lavoro successivo che Dylan descrive i dettagli delle coerenti visioni da lui percepite.

Chimes of Freedom è forse la più nitida di queste visioni. Il testo della canzone è ambientato durante una tempesta, con due amici, o due amanti, che trovano rifugio sotto l'arcata d'ingresso di una chiesa dalla quale osservano "le campane della libertà stagliarsi". Per la lingua, l'ampiezza del movimento, l'universalità e la compassione, la promessa di universale emancipazione, Shelton la considera una delle più profonde composizioni di Dylan; riflesso dell'importante cambiamento nel modo di percepire la realtà da parte di Dylan.

L'affinità con la figura dell'oppresso raramente è stata espressa con tale nobiltà. Le "campane della libertà" chiamano a raccolta una legione di oppressi. La canzone è sovraccarica di immagini strane e spesso violente, che raggiungono effetti di sinestesia ed eccezionale vividezza che, sempre in accordo con quanto riferito nella biografia di Shelton, è facile trovare nel Sonetto delle vocali di Rimbaud, nel quale i colori emergono dalle cinque vocali poste al principio di ogni verso e ciascuna accostata ad un colore.

Questa è una delle canzoni più politicizzate di Dylan ma è anche una delle sue più grandi canzoni d'amore, perché attraverso di essa egli estende la sua capacità di identificazione a tutte le persone che stanno ai margini, prigionieri, prostitute, fuorilegge:

«Rintocchi per chi soffre il male che / non ha una cura / Per le schiere dei confusi illusi e offesi / e peggio ancora / E scorgemmo nelle immensità su ogni estatica / creatura / Le campane della libertà stagliarsi».

Nella canzone You're Gonna Make Me Lonesome, pubblicata in BLOOD ON TRACKS nel 1975, per la prima volta Dylan nomina direttamente Rimbaud e Verlaine nei suoi testi. L'amante implora di non essere abbandonato, pur temendo fatalmente di esserlo. Il quarto verso introduce uno sparo che illumina tutta la storia.

Quella di Verlaine e Rimbaud è una delle vicende letterarie del nostro tempo, nella quale si narra il mito dell'artista moderno. Verlaine divenne amico di Rimbaud quando questi arrivò a Parigi. Egli lo presentò ad una ristretta cerchia di scrittori parigini per poi fuggire con il diciassettenne nuovo venuto, abbandonando la moglie. Nell'estate del 1873, dopo varie tempeste sentimentali, Verlaine sparò a Rimbaud e, mentre una pallottola mancò il bersaglio, l'altra colpì il giovane poeta al polso sinistro. Rimbaud non sporse alcuna denuncia ma Verlaine fu condannato ugualmente per tentato omicidio.

Due uomini, uno più adulto l'altro più giovane, alla ricerca dell'amore e della conoscenza. Ma i due uomini forse sono la stessa persona. Due aspetti dello stesso Dylan che attraverso l'estrema esperienza del male trova un varco sulla porta della conoscenza; lo stesso male capace di risvegliare nel "poeta maledetto" di Verlaine quel desiderio profondissimo di capire il perché delle azioni e delle sofferenze dell'uomo, allo scopo di trascenderle.

Ritratto di William Blake
WILLIAM BLAKE E IL MISTICISMO DI DYLAN

A partire dal 1964 Dylan cominciò a dimostrare che era ormai pronto ad abbandonare quella chiarezza percepibile nei simboli che a suo tempo riempirono le canzoni della sua tarda adolescenza, impregnate di quella politicità che egli stesso giudicherà ridicola e irrilevante. La semplicità di concezione di canzoni come Blowin' in the Wind o The Times Thay Are A-Changin aveva permesso alla critica e ai suoi fans una comprensione istantanea dei significati, del "messaggio" in esse contenuti.

Dylan aveva visto sviluppare la propria identità nei termini della lotta per i Diritti Civili. Adesso stava cercando, invece, il coraggio di lasciare la presa su tutti gli strati di distinzione che avevano dato significato alle proprie canzoni, e affrontare a viso scoperto le sue visioni.

Le canzoni dell'album BRINGING IT ALL TO BACK HOME fanno trasparire un Dylan ben avviato su questa strada, come se avesse trovato un suo punto fermo mistico al quale dare espressione nuova e spontanea. Il tentativo di Dylan di definire la libertà lo avrebbe portato a superare le ideologie politiche attraverso le quali aveva manifestato le proprie visioni, per sconfinare in una politica nuova, concretizzando l'idea di un nuovo approccio e di una nuova visione del mondo, secondo quella che potrebbe definirsi una "politica dell'esperienza".

A questo punto il riferimento all'opera di William Blake non è casuale ma, anzi, decisamente necessario. Proprio nel periodo immediatamente successivo a quello in cui Dylan aveva scoperto il simbolismo di Rimbaud e attraverso il quale si era identificato nell'ideale del poeta ribelle, egli fu fortemente influenzato da nuove letture, in particolare quelle che lo portarono alla scoperta dell'eccentrica e ribelle personalità del poeta inglese che alimentò in Dylan il mito del poeta visionario e mistico, le cui visioni sensibili e concrete - solitamente rappresentate come visualizzazioni di incontri con angeli, profeti, spettri - agirono come agenti catalizzatori nel processo di evoluzione verso cui si stava avviando. In particolare il mondo mitico, il sistema linguistico e il materiale simbolico dell'opera di Blake - la serie di opposizioni che implicano il problematico e fondamentale rapporto tra innocenza ed esperienza - portarono Dylan ad assumere un punto di vista maggiormente consapevole di trovarsi in bilico tra innocenza ed esperienza. Ancora una volta Dylan si trovava ad affrontare, e quindi a manifestare, l'espressione delle due opposte tendenze dell'animo umano.

I testi di Dylan cominciano ad assumere i connotati di quell'immaginazione così viva e spontanea, di quella trascendenza del mondo sensibile che si ritrova nell'opera di Blake. Se quelli di ANOTHER SIDE OF BOB DYLAN rispecchiavano l'idea di una conoscenza del mondo raggiunta per via intuitiva - attraverso la conservazione di quella raison alla quale Rimbaud ricondusse la ricerca della propria conoscenza e dell'immagine poetica - nei testi di BRINGING IT ALL TO BACK HOME diventa invece evidente l'influenza della concezione mistica e visionaria di Blake fondata sulla sfiducia assoluta nella ragione concepita come organizzazione delle percezioni dei sensi, e sulla negazione del mondo sensibile che trova espressione nella ricerca di quelle idee eterne più reali delle cose stesse racchiuse negli archetipi utilizzati.

In Gates of Eden diventa evidente l'affinità di Dylan con Blake. Come Blake, Dylan regala l'esperienza in eterna subordinazione all'innocenza:

«I reami dell'Esperienza / Marciscono tra venti preziosi / Mentre i poveri cambiano gli averi / Tutti di ciò che ha l'altro vogliosi / E la principessa insieme al principe / Discute su cosa è vero e cosa no / Il che non conta dentro i Cancelli dell'Eden».

In accordo con quanto affermato da Steven Goldberg, può essere interessante avviare un confronto con Auguries Of Innocence di Blake:

«Siamo condotti a Credere in una Menzogna / Quando vediamo non Attraverso l'Occhio / nato nella Notte per morire nella Notte / Quando l'Anima dormiva soffusa di Luce / Dio Appare e Dio è Luce / Per le povere Anime che dimorano nella Notte / Ma una Forma Umana si Manifesta / A quanti Dimorano nei Reami del Giorno».
Dylan, come Blake, concepisce una trascendenza che fluisce attraverso l'uomo, e la compassione da questa generata disseppellirà un'umanità nascosta.

In The Gates of Paradise Blake aveva dipinto una serie di emblemi - l'uomo, l'albero, l'acqua, la terra, il fuoco, l'ignoranza, la morte, per citarne alcuni - rielaborandoli in seguito e aggiungendo un testo che chiamò The Keys of the Gates. Gli emblemi accompagnavano l'uomo dalla culla alla tomba, attraverso vari stati di desiderio e di frustrazione mortale dell'anima. Per Blake la tomba non era un luogo di morte, bensì di mistero spirituale.

Gates of Eden riflette l'innocenza e l'esperienza di Blake nella ricerca della salvezza. La paura del cielo o dell'inferno viene descritta attraverso un Eden che Eden non è, ma, anzi, rappresenta un mondo fatto di illusione menzognera, di barbarie, di false promesse, di profeti e di ruffiani, di certezze errate. La sola consolazione è che "dentro i cancelli dell'Eden questo non ha importanza".

La stessa ricerca di una salvezza personale la si ritrova in Mr. Tambourine Man, una presa di coscienza della propria vita che per Dylan va oltre i confini delle visioni temporanee che può talvolta dare la droga. La canzone costituisce il suo primo tentativo di trasmettere attraverso la sua opera qualcosa capace di trascendere l'immediato presente per raggiungere una libertà personale, una liberazione da tutti i trucchi imposti dalla società che negano quella Verità che non esiste se non al di fuori dei "cancelli dell'Eden".


IMMAGINI BIBLICHE NEI PRIMI TESTI DI DYLAN

L'influenza delle Sacre Scritture sull'opera di Dylan è estremamente profonda e abbraccia essenzialmente l'intera sua produzione, dagli esordi ai lavori degli ultimi anni '90. Nell'arco dell'evoluzione del suo pensiero artistico le Sacre Scritture hanno spesso significato una fonte prolifica d'ispirazione. Questo è dovuto in gran parte all'educazione ebraica di Dylan. Decine di studiosi hanno meticolosamente setacciato i testi delle canzoni di Dylan alla ricerca di citazioni bibliche, più o meno convincenti, che accreditassero le tesi più disparate sull'utilizzo da parte di Dylan di una fonte così vasta, e al tempo stesso inconsueta, per un cantautore rock. Prima di Dylan è estremamente raro trovare dirette citazioni bibliche nei testi della musica rock americana. Soltanto nella tradizione "nera" della canzone americana - gospel, Rythm'n Blues, Spiritual - ritroviamo espressioni dirette della fede in Dio.

Le prime citazioni bibliche si ritrovano nelle canzoni di protesta dai toni profetici del Dylan del '64. The Times they Are A-Changin' è una canzone in cui è possibile individuarne diverse, tratte dal Nuovo testamento, mescolate ai toni apocalittici utilizzati da Dylan nel testo. Le immagini in esso descritte e le risonanze bibliche sembrano riflettere i canti gospel della tradizione nera americana. Clinton Heylin individua nel titolo stesso l'avvertimento dell'Apocalisse «beato chi legge e chi ascolta le parole di questa profezia e osserva ciò che è scritto in essa. Il tempo infatti è vicino». Un chiaro riferimento al Vangelo secondo Marco lo si ritrova nei versi «il perdente di oggi / Poi domani si afferma» e «il primo di adesso / sarà l'ultimo arrivato».

When the Ship Comes In è un altro canto profetico di Dylan pieno di speranza e senso di rivalsa, nell'annuncio del giorno in cui ogni male sarà estirpato, in un ritmo che evoca la potente cadenza del Vangelo, con immagini del Vecchio Testamento, come il faraone e Golia e lo spirito dell'Apocalisse di San Giovanni. Secondo Shelton la nave stessa può essere interpretata come un simbolo universale di salvezza.

In Highway 61 Revisited, inclusa nell'omonimo album pubblicato nel 1965, Dylan riprende sotto forma di satira il dialogo tra Abramo e Dio sul sacrificio del figlio di Abramo, Isacco:

«Be', Dio disse ad Abramo: "Ammazzami tuo figlio" / Abramo disse: "Neno, bello schifo di consiglio" / Dio disse: "Oh." Abe disse: "Eh?" / Dio disse: "Fa quel che vuoi, ma sai che c'è, / Se ripasso di qui per te sarà meglio filare" / e Abramo disse: "OK, st'omicidio / dove si va a fare?" / E Dio: "Sulla 61ma Statale."».

Nello stesso album, Desolation Row è impregnata di furori profetici. Attraverso un linguaggio crudo e duro Dylan descrive un'apocalisse contemporanea. In questa canzone il genere apocalittico raggiunge una delle massime espressioni.

Blake: Newton
UN FUORILEGGE COME MESSIA

La svolta significativa avviene con JOHN WESLEY HARDING definito dallo stesso Dylan "il primo disco di rock biblico della storia". Le citazioni bibliche non rappresentano più un semplice mezzo espressivo per i messaggi contenuti nei testi delle sue canzoni, ma ritraggono il suo bisogno di un'esperienza religiosa, intima e personale. Le fonti del Nuovo e del Vecchio Testamento rappresenteranno per Dylan la "chiave" d'accesso a quella realtà interiore sovvertita dal caos, alla ricerca di una forma nuova di spiritualità.

Dopo gli eccessi degli anni passati e soprattutto in seguito alla lunga "pausa di riflessione" provocatagli dall'incidente motociclistico del '66, Dylan è alla ricerca di un senso di calma, musicale, fisica, spirituale e religiosa. JOHN WESLEY HARDING è un album che nasce come risultato del periodo nel quale Dylan rifiuta gli eccessi del passato e abbraccia la moderazione.

Bert Cartwright, nel suo saggio intitolato The Bible in the Lyrics of Bob Dylan, individua perlomeno sessantuno citazioni bibliche contenute nell'album. Queste numerose citazioni sono il riflesso di tre elementi fondamentali presenti nell'album: la fede in Dio, la scoperta di se stessi, la commiserazione. Nelle canzoni dell'album egli descrive la caduta e l'ascesa - la morte e la resurrezione - di un uomo: se stesso. Dylan ricorre alla Bibbia per descrivere se stesso e le passioni che lo avevano distrutto negli anni appena trascorsi, e per trovare nuove forme e contenuti sui quali basare la sua poetica e che più si adattassero alla sua ricerca della redenzione e della salvezza.

Il racconto criptico narrato nelle note di copertina dell'album è una sorta di parafrasi della storia dei Re Magi narrata nel Vangelo in un ironico capovolgimento. I Re Magi vengono a prendere, non a portare. Sono in cerca della "chiave", quella chiave necessaria per comprendere lo stesso Dylan e abbandonare l'idea che egli possa essere un Messia in grado di compiere miracoli. Attraverso questa presentazione dell'album, Dylan mette allo scoperto se stesso, rinnegando il ruolo di redentore che egli stesso aveva permesso gli attribuissero.

Il testo di John Wesley Harding narra solo apparentemente la storia del famoso fuorilegge del West, amico dei poveri. Per Dylan quell'uomo è qualcosa in più: è Cristo, ma anche Dylan stesso al quale è stato imposto di recitare la parte del Messia e che è arrivato al punto di crederci egli stesso e di credere di poter salvare l'anima della gente. Non aveva capito in realtà che si trattava di egocentrismo, che era stato intrappolato in una situazione falsa, che era arrivato a credere di possedere delle qualità che andavano oltre l'umano. Come Cristo, anche Harding è un fuorilegge, un escluso che cerca di trasmettere la saggezza al popolo della sua terra e che va per la sua strada abbattendo quanti negano la sua realtà.

L'esperienza mistica di John Wesley Harding diventa un'esperienza dinamica, insieme caotica e tranquillizzante, sensuale e fisica. Dopo il suo incidente in moto, per descrivere le sue esperienze, Dylan usa analogie fisiche ma le loro sfumature sono al di là della comprensione, al di là della verbalizzazione. La sua esperienza mistica si scontra con la passata posizione ideologica, con i propri desideri.

In John Wesley Harding Dylan matura la convinzione che la compassione è l'unica manifestazione secolare per l'esperienza religiosa. Essa rappresenta la soluzione dell'apparente contraddizione fra visione e vita. La sua visione continuava a bloccare ogni via verso la salvezza, ma finalmente adesso riesce a superare l'esclusione dell'umanità che aveva tormentato le precedenti canzoni visionarie. In tutto l'album, la manifestazione creativa di una vita permeata di Dio, gentilezza e compassione, sostituisce l'intolleranza, l'amarezza e il cinismo dei lavori precedenti.

Dove c'era un tempo il caos ora c'è la pace. La comprensione del senso della vita può essere raggiunta soltanto attraverso un atto di fede; solo accettando il flusso della vita Dylan può adesso manifestare la volontà di sconfiggere la confusione e la vanità che lo straziano.

Un altro brano significativo dell'album del "rock biblico" è I Dreamed I Saw St. Augustine, una parziale rielaborazione dell'idea espressa in My Back Pages, e cioè che quando aveva fatto la sua predica alla società, egli si era messo dalla parte del nemico. Secondo quanto afferma Antony Scaduto, Agostino rappresenta la dualità della natura umana. Nella maggioranza delle religioni istituzionalizzate, il bene e il male si trovano ad estremi opposti, tutto è bianco o nero. Ma questo modo di vedere le cose secondo Dylan è errato. Nella dualità non c'è alcun vero conflitto: il bene e il male non sono altro che due elementi dello stesso insieme.

In questa canzone - continua Scaduto - Agostino è Dylan, che si lascia sopraffare dalla più profonda frustrazione per via del conflitto causato dalla sua dualità. Vaga portando "una coperta sottobraccio", simbolo del profeta errabondo, ma al tempo stesso indossa "un manto d'oro massiccio", simbolo di corruttibilità. Dylan asserisce di essere stato un falso profeta: la sola via che conduce alla salvezza sta nel rinunciare agli anelli, ai gioielli, alle vesti d'oro, al suo egocentrismo. Egli si riconosce fra quelli che hanno messo a morte Sant'Agostino. Sogna di aver ucciso una parte di sé ma ha ancora paura di varcare le porte della percezione.

All Along the Watchtower è il brano più discusso dell'album in cui Dylan sembra descrivere la svolta fondamentale della sua vita: il momento in cui si è reso conto dell'inganno perpetrato nei suoi confronti, e comincia a meditarvi sopra. Nella canzone egli ricorre ampiamente al Libro di Isaia nel quale il profeta annuncia la fine di un mondo corrotto per opera di un Dio adirato e la caduta di Babilonia. Il testo potrebbe apparire come una descrizione misteriosa - cosa che in un certo senso è vera - dello scenario di un incubo. «Deve esserci pure una via d'uscita», così inizia un dialogo fra un giullare e un ladro.

Stando all'analisi di Stephan Pickering, si può interpretare il simbolismo religioso di All Along the Watchtower esaminando queste due figure nei termini della vita stessa di Dylan e in particolare delle sue prospettive religiose. Il giullare e il ladro stanno scappando sicuramente da qualcosa; Dylan vede in se stesso sia il ladro che il giullare. Il dialogo fra loro rappresenta un dialogo fra anime contraddittorie. Le due figure possono essere ricondotte a quelle dei due ladroni crocifissi insieme a Cristo, dei quali uno solo, riconoscendolo come Messia, verrà salvato e condotto nel regno dei cieli.

Dalla "torre di guardia" Dylan vede l'Avvento. I cavalieri si avvicinano, il vento si alza: è il caos, proprio come in Isaia o in un altro passo tratto dall'Apocalisse in riferimento ai "quattro venti che soffiano sulla terra", Dylan comprende che avendo egli sparso un verbo profetico, è stato falso quanto gli idoli di Babilonia o quanto i falsi profeti descritti da Cristo "i quali vengono da voi travestiti da pecore, mentre dentro sono lupi rapaci".

Anche Dylan, per continuare a vivere è costretto a morire. Questo concetto rappresenta il centro di un altro brano significativo dell'album, The Wicked Messenger. In questo brano le metafore bibliche sono affiancate ad un blues inquietante, scosso da forti tensioni. Il "perfido messaggero" del titolo è Satana, che è anche Dylan. Nella prima strofa si ritrova un riferimento diretto a Satana che era stato inviato in terra dal più intellettuale dei servitori di Dio, il sommo sacerdote Eli - come descritto nel Primo libro dei Re; nel testo della canzone si legge "che da Eli proveniva" - con lo scopo di insinuare il dubbio nella mente di figli di Dio.

Dylan scrive di avere assunto uno degli aspetti di Dio, quello del Diavolo, e di avere vagato per la terra cercando di ingannare la gente facendole credere di essere un profeta depositario della Verità. Nei versi della seconda strofa «Finché un giorno prese e apparve / con un foglio in mano e su scritto: / "Sento le piante dei piedi, giuro, scottare"» è resa evidente la punizione di Dio per avere cercato di fare l'intellettuale e il filosofo distruggendo così il senso dell'intuizione divina. Nel verso della terza strofa «E cominciava ad aprirsi il mare» diventa chiaro il riferimento al Libro dell'Esodo: la salvezza che arriva per volontà di Dio, finché nell'ultimo «O porti buone nuove, o non portarne» Dylan sembra riscoprire il messaggio, la vocazione di predicare la fede, il verbo di Dio.

Ed è quanto canta nelle due ultime canzoni del disco, due veri inni alle gioie della vita. Due ballate scherzose intrise di un amore senza riserve, un amore attraverso il quale l'uomo può comunicare con una realtà profonda affine alla fede. La ricerca da parte di Dylan della salvezza trova il suo compimento nell'amore.

Blake: Dio
DYLAN PREDICATORE IN MUSICA: LA TRILOGIA RELIGIOSA

«Io seguo Dio, e così quando i miei seguaci seguono me, indirettamente anche loro seguono Dio, dato che io non canto alcuna canzone che non mi sia stata ispirata da Dio precisamente a questo scopo».

Questa dichiarazione di Dylan è stata rilasciata a New York nel 1979, alla presenza dei giornalisti e del pubblico sorpreso per la sua recente conversione religiosa, iniziata dalla città di Tucson pochi mesi prima.

Si è già parlato del periodo della conversione di Dylan alla setta della Vineyard Fellowship, setta cristiana fondamentalista, attraverso cui Dylan poté riscoprire la sua vocazione religiosa, accettare Cristo come proprio salvatore e compiere quella forte esperienza di "rinascita" di cui rimangono tracce evidenti nei tre album della cosiddetta "trilogia religiosa", pubblicati tra il 1979 e il 1981.

Nella sua biografia di Dylan, Clinton Heylin individua nelle canzoni del primo di questi album, SLOW TRAIN COMING, la forte influenza di un testo scritto da un certo Hal Lindsey, anch'egli membro di spicco della Vineyard Fellowship, The Late Great Planet Heart, che divenne, a parere di Heylin, la seconda Bibbia di Dylan, attraverso la quale aggiunse una sfumatura apocalittica alla sua visione del mondo.

Sebbene alcuni suoi testi precedenti contenessero già degli elementi apocalittici, Dylan non aveva mai tratto direttamente la propria ispirazione da una tradizione apocalittica interamente "nera" o cataclismatica. La terminologia è quella utilizzata dallo studioso californiano Joseph Campbell, secondo cui la tradizione apocalittica "nera" «trova espressione nei profeti del vecchio testamento - Isaia, Geremia, Ezechiele - e nell'Apocalisse di San Giovanni». Era soprattutto nell'Apocalisse, infatti, che Hal Lindsey aveva basato la propria idea, secondo la quale gli eventi predetti nei testi sacri stavano avendo luogo nella seconda metà del ventesimo secolo.

Sembra inconcepibile che un uomo dotato di innato scetticismo quale era Dylan avesse accettato in modo tanto entusiastico le parole dai toni estremisti di Lindsey. Nondimeno è indubbio che Dylan in quegli anni era fortemente convinto del fatto che la fine del mondo sarebbe stata questione se non di giorni, di mesi.

Basti notare come si esprimerà a tal proposito in un'intervista rilasciata a Santa Monica nel 1979:

«Il mondo che conosciamo verrà distrutto. Mi spiace, ma questa è la verità. Tra breve vi sarà una guerra. Sarà chiamata la guerra dell'Armageddon. Com'è certo che siamo qui, è certo che accadrà».

Nei testi di SLOW TRAIN COMING ritroviamo gli stessi toni dell'intervista citata. Il misticismo dei testi precedenti adesso si manifesta essenzialmente nell'amplificazione di un messaggio, i cui termini e confini precisi non possono che stupire ogni ascoltatore.

Come già detto in precedenza possiamo distinguere due categorie fra le canzoni presenti nell'album. Alcune - come I Believe in You, Precious Angel, Gonna Change My Way of Thinking e Trouble in Mind - che esprimono e testimoniano la personale redenzione di Dylan, altre - come Do Right to Me Baby, When You Gonna Wake Up e Slow Train - che servono da monito per i peccatori, promettendo loro la dannazione se non seguiranno il suo messaggio di salvezza cantato da Dylan.

Gotta Serve Somebody è un lungo è inverosimile elenco che sfocia nella constatazione della necessità metafisica di dover sempre servire qualcuno.

«Ma qualcuno lo devi pur servire, ah non c'è dubbio / Qualcuno lo devi servire / Che so, potrà essere il Diavolo o potrà essere il Signore, ma qualcuno lo devi pur servire».

Questi versi del ritornello sembrano direttamente ispirati al Vangelo di Matteo quando Cristo afferma: «Nessuno può servire a due padroni, perché od odierà l'uno e amerà l'altro, o si attaccherà l'uno e disprezzerà l'altro. Non potete servire Dio e Mammona».

I Believe in You esprime il tono intimo e modesto del Libro dei Salmi, con particolari riferimenti a quelli di David: «Signore, mio Dio, in te spero. [.] Nel Signore io confido. [.] Ma tu, o Signore, sei il mio difensore.»

Nella strofa di Gonna Change My Way of Thinking si ritrova l'esplicito riferimento al Vangelo di Luca o di Matteo:

«Gesù disse: "Sii pronto / perché l'ora in cui arrivo non la sai." [.] Egli disse: "Chi non è con Me è contro di Me".»

L'elenco potrebbe continuare a lungo giacché, come si è già detto, le canzoni dell'album sono delle vere e proprie parafrasi dei testi biblici. In accordo con le considerazioni di Clinton Heylin, When He Returns è la canzone più apocalittica dell'album - con espliciti riferimenti all'Apocalisse di San Giovanni - nella quale Dylan parla del "piano" di Dio per consolidare "il suo trono". La scelta fatta da Dylan di concludere l'album con questa poderosa ed intensa canzone, carica di premonizioni riguardante "La Fine", fu una mossa incredibilmente audace, destinata ad attirare su di lui una buona dose di furibonde critiche.

Qualunque sia il giudizio che possa essere dato agli album della "trilogia religiosa", è importante notare - in accordo con quanto afferma Nemesio Ala - che la teologia della musica rock proposta da Dylan s'innesta, in ogni modo, su altre ideologie che hanno circondato, fin dal suo sorgere, questa stessa musica. In particolare, l'ipotesi della musica rock come messaggio generazionale e come messaggio di protesta: anche la "nazione di Woodstock" era, nei fatti - con il suo spirito universalistico e il suo appello ad una trasformazione soggettiva dei comportamenti, ad una rigenerazione e ad una conversione - un'ideologia di matrice religiosa e misticheggiante. Dylan, in questo senso, compie un'operazione altamente complessa, mettendo a nudo molti degli aspetti soggiacenti al movimento degli anni '60.

Bob Dylan - portrait
DYLAN "INFEDELE"

INFIDELS, si è già detto, è l'album che rappresenta il distacco dalla fase estremista religiosa compiuta con la Vineyard Fellowship e il ritorno di Dylan all'Ebraismo. Kurt Loder, nell'intervista fatta a Dylan nel 1984, riferisce dell'adesione dello stesso Dylan alla setta ebraica ortodossa Lubavitcher Hassidim. Nel settembre del '82 venne fotografato a Gerusalemme, dove si era recato per il bar mitzvah del figlio Jesse, con in testa una yarmulke.

Dai toni dell'album traspare l'abbandono degli espliciti riferimenti religiosi e si ritrova nuovamente quel parlare allusivo ed enigmatico che rappresenta una delle cifre più caratteristiche del metodo compositivo di Dylan. Spicca la ritrovata capacità di rendersi enigmatico, di lanciare messaggi strutturati come profezie di ambigua e controversa decifrazione. Non si tratta soltanto di un sottile gioco di simboli o di un labirinto pazientemente dipanabile; non esistono tavole di concordanza, chiavi interpretative capaci di sovrapporre volti, personaggi, fatti e ideologie alle immagini prodotte ed evocate da Dylan. Egli affida alla propria produzione un testo produttore di infiniti significati, che produce interpretazioni di se stesso, al quale aderisce quella particolare lettura che viene data dall'ascoltatore.

Nella sua biografia Clinton Heylin individua nell'album solo due brani direttamente ispirati al Nuovo Testamento: Jokerman e Man of Peace; in particolare in Man of Peace, nel verso «a volte Satana viene da uomo di Pace», si ritrovano gli stessi toni della Seconda Lettera ai Corinzi, laddove è scritto: «Costoro sono falsi apostoli, operai ingannevoli, travestiti da apostoli di Cristo. Né è da meravigliarsene, poiché lo stesso Satana si traveste in un Angelo della Luce». Allo stesso modo è possibile individuare nel verso della canzone «Il lupo ululante urlerà stanotte» i falsi profeti descritti da Cristo "i quali vengono da voi travestiti da pecore, mentre dentro sono lupi rapaci", e nel verso «il re serpente striscerà / L'albero in piedi da millenni d'improvviso cadrà» il riferimento al Quarto libro dei Re, in particolare ad Ezechia, re di Gerusalemme, il quale «distrusse gli alti luoghi, spezzò le statue, tagliò i boschi sacri e mise a pezzi il serpente di bronzo fatto da Mosè».

L'altro brano, Jokerman, è stato oggetto di diverse considerazioni in relazione ai numerosi riferimenti biblici presenti nel testo. La canzone parla di futuri pieni di terrore, di chi manipola le folle, di chi truffa i sogni. Il protagonista può essere considerato in parte un ricercatore della salvezza, in parte un ingannatore satanico. Per un approfondimento si rimanda all'intervento di Robert Zorn dalla Nuova Zelanda, comparso sulla "Bob Dylan Discussion List", curata su Internet da Bill Parr, attraverso il quale l'autore individua ben 38 riferimenti alle Sacre Scritture.

Riprendendo le considerazioni in merito espresse da Nemesio Ala, l'album può essere interpretato come una meditazione, una manipolazione infinita di stereotipi, una dilatazione all'infinito del senso dello spazio. Nel passato, lo spazio in Dylan aveva significato evocazione dello straniamento e della desolazione dei personaggi, un "predicato" della loro ossessione dell'intrappolamento o della mitica mancanza americana di ogni confine.

Da INFIDELS traspare l'isolamento di alcuni personaggi: l'uomo della pace, il buffone, la donna che guarda le colline, il prepotente del quartiere. Questi personaggi giocano e ricoprono dei ruoli all'interno della struttura e dei rapporti sociali, all'interno di un mondo artificialmente costruito.

Nessun altro album di Dylan è così impregnato di riflessione sul tempo, un tempo giocato tra la memoria e l'azzardo, spesso negazione del presente immediato, dell'attualità, dell'incalzare degli avvenimenti. Il "messaggio" è carico d'angoscia ma senza cedere alla disperazione: i ruoli appaiono sempre più necessitati, aumenta il determinismo, la fissità delle regole e delle convenzioni. Non esistono più contestatori, le utopie della "liberazione", della droga e della sessualità, non esiste neppure più una speranza e una dimensione religiosa, se non vissuta fatalisticamente come una dedizione ad un disegno divino.

Rimbaud
CONCLUSIONI

«Si, io sono un ladro di pensieri / non, prego, un sottrattore d'anime / ho costruito e ricostruito / sopra ciò che è in attesa / perché la sabbia sulle spiagge / scolpisce molti castelli / su quello che era stato cominciato / prima dei miei tempi / una parola, una melodia, una storia, un verso / chiavi nel vento per disserrarmi la mente / e garantire ai miei pensieri nel cassetto l'aria del cortile»

Così Dylan in uno dei suoi "abbozzi di epitaffio" pubblicati come note di copertina sul suo terzo album. Già da allora fu chiara la brillante diversità della scrittura rispetto agli standard del rock e del folk. Non si possono non riconoscere una lingua originale, un'eccentrica varietà delle fonti, una solida architettura metrica. Che poi di "poesia" o meno si tratti, è una questione pedante che ha interessato alcune accademie, e quelle soltanto.

Va riconosciuto a Dylan che il problema non lo ha mai crucciato e non ha impedito che con gli anni andasse a formarsi un corpus notevole di pagine anche fuori dallo spartito, di quelle che per l'appunto, senza musica e in versi, si è soliti chiamare "poesie".


«Senza casa, senza meta / come una pietra scalciata»


Senza direzione, senza meta, condannato ad un ciclo continuo di trasformazioni, di nascita, morte e rinascita, - quasi a giustificare il ricorso alla forma poetica dell'epitaffio - attraverso nuove identità, nuove maschere e camuffamenti, che finiscono per rappresentare una sorta di modus operandi per gran parte della sua carriera.

Egli stesso è un "Jokerman": assieme bene e male, Dio e Satana, ha assunto diverse facce: protestatario, campagnolo, ebreo, cristiano, folk singer, cantante rock, country, blues, zingaro, predicatore, reazionario e innovatore, drogato e vegetariano, padre e marito, amante e rivoltoso, acustico ed elettrico, commerciale ed elitario, visionario, profeta, borghese.

Ha manifestato la sua imprevedibilità riuscendo a calpestare, dissacrare le aspettative del proprio pubblico. Per questo è il personaggio più contestato, indagato, amato e odiato di tutta la storia del rock, sempre aspramente contraddittorio, scomodo, di quelli che mettono a disagio l'interlocutore

Di tanto in tanto i media si ricordano di quell'aura indelebile che ancora lega Dylan ai "favolosi" anni Sessanta e celebrano intorno a lui caroselli revivalistici. Ma puntualmente Dylan smentisce, puntualmente si pone fuori da quel gioco perverso. Anche quando riesegue vecchie canzoni le rende spesso irriconoscibili in un gioco di costante trasformazione che è uno degli insegnamenti fondamentali della sua filosofia. Per Dylan, dal vivo, una canzone non deve mai essere uguale a se stessa, non riproporsi come icona, ma come spunto che vive delle vicissitudini del tempo, della storia e perfino delle circostanze del momento in cui viene eseguita. Alla fine ne viene fuori un work in progress mobile e inquieto.

Ha inseguito la contraddizione, il senso del mistero attraverso canzoni dove è possibile leggere innumerevoli interpretazioni, grazie alla capacità che queste canzoni possiedono di arricchirsi sempre di nuovi significati.

Per la prima volta con la musica di Bob Dylan la cultura rock si è presentata come atto di iniziazione, come shock conoscitivo, come apertura verso nuove forme di conoscenza. L'ideologia della musica rock proposta da Dylan s'innesta, in ogni modo, su altre ideologie che hanno circondato, fin dal suo sorgere, questa stessa musica. In particolare, l'ipotesi della musica rock come messaggio generazionale e come messaggio di protesta: anche la "nazione di Woodstock" era, nei fatti - con il suo spirito universalistico e il suo appello ad una trasformazione soggettiva dei comportamenti, ad una rigenerazione e ad una conversione - un'ideologia di matrice religiosa e misticheggiante. Dylan, in questo senso, compie un'operazione altamente complessa, mettendo a nudo molti degli aspetti soggiacenti al movimento degli anni '60.

Ci sono così tanti lati di Dylan che finisce per essere circolare, ed è un insieme di così tante persone che la ricerca della sua poetica ha finito per essere una ricerca sulle poetiche di Dylan.

Me è proprio in questa continua ricerca di se stesso, quel "reinventarsi" costantemente che la sua poesia rivelerà gli istituti con i quali è stata pensata. Tanto numerose sono le espressioni e i cambiamenti di Dylan, tanto maggiori sono gli aspetti di tale rivelazione. Una rivelazione che diventa evocazione continua del primo modello che poté offrire a Dylan il personaggio che stava cercando: l'hobo, personaggio vagabondo e solitario, in cerca di se stesso senza meta, senza direzione.

Ed ogni cambio di direzione è una morte e una rinascita verso una condizione che, chissà, porterà il nostro artista a seguire la via di Rimbaud, avendo già espresso più parole di rivolta di quelle che il mondo fosse pronto ad accogliere, o quella di Yeats, continuando a cercare e a scavare per raggiungere una creatività ancora maggiore in età avanzata.

Ormai lo sappiamo, Dylan è un uomo dalle mille sorprese. Ogni sua fine è un inizio e sembra averlo piegato chiaramente in un altro suo epitaffio, contenuto nel suo romanzo autobiografico Tarantula:

«Qui giace Bob Dylan / assassinato / da di dietro / da carne tremante / che dopo essere stata rifiutata da Lazzaro, / saltò su di lui / per solitudine / ma scoprì con stupore / che egli era già / en tram & / questa fu precisamente la fine / di Bob Dylan».

Dylan è un poeta, dunque. Poeta che è riuscito a spogliarsi dalle mille facce del proprio Io artistico intriso di misticismo, intuizione, impulso. Ed è attraverso un linguaggio crudo, "basso", "sputato", in un apparente balbettare spesso volutamente illetterato che Bob Dylan è capace di spalancare orizzonti di poesia improvvisi e violenti.

E spogliandosi di se stesso che si rivela:

«Mi chiamano autore di canzoni. / Una poesia è una persona nuda. /c'è chi dice / che io sia un poeta».







RIMBAUD E LA SAISON EN ENFER

Arthur Rimbaud
I LIBRI CAMBIANO NOI... O CAMBIAMO NOI I LIBRI?

[14-Jul-2004]

a cura di Matisse

Sono un po’ scettico quando leggo di libri che cambiano l’esistenza... ma effettivamente nei confronti di questo libro nutro un certo affetto. Un po’ per tutta l’opera di Rimbaud a dire il vero, ma poiché ricordo bene d’averlo conosciuto proprio cominciando a leggere Una stagione all’inferno (preso nella biblioteca di scuola, in una vecchissima copia della BUR – quelle grigie ed anonime, coi cognomi italianizzati) ecco che è divenuto un po’ l’emblema del mio primo incontro con lui. Lo leggevo a scuola sottobanco, quando proprio non ce la facevo più a sopportare le chiacchiere degli insegnanti. Fra cui quelle della professoressa di letteratura, che aveva snobbato apertamente “i poeti maledetti” dal suo programma (lieta magari di evitare la narrazione delle loro poco edificanti biografie). Poi è venuta la Vita, semplicemente, a sistemare le cose.

Personalmente sono sempre stato dell’idea che Rimbaud sia eccessivamente analizzato e idolatrato dalla critica. Le sue sono veramente le gesta di un adolescente viziato, spaccone. A tratti anche piuttosto goffe. Precipitate certo in una scrittura immediata, plastica. Che non può lasciare indifferente un giovane che si sente rodere qualcosa dentro. Adesso, dopo aver passato un po’ tutte le fasi classiche: totale identificazione (Henry Miller, Il tempo degli assassini), oggettivazione biografica (Renato Minore, Arthur Rimbaud), sconvolgimento critico-(auto)biografico (Aldo Busi, Altri abusi), finisce che mi trovo ad osservarlo quasi fosse un corpo estraneo. E che quel detestabile epiteto coniato da Paul Claudel, di “mistico allo stato selvaggio”, in fondo gli si addice davvero.

Un atteggiamento sbagliato, quello di personificare, mitizzare, figure come la sua... adesso, che adolescente non sono più, ho capito che un testo, una biografia, deve per necessità essere interpretata “da lontano”, con atteggiamenti meno osmotici e personalistici. Ma solo quando si ha quell’età è permesso sperimentare (e sbagliare) a quel modo; Letteratura, Vita, coscienza biografica e via dicendo costituiscono un meraviglioso tutt’uno. E chi ha conosciuto Rimbaud sa bene come sia facile sovrapporre i piani.

C’è stato anche un periodo in cui mi piaceva credere che Una stagione all’inferno, piuttosto che le Illuminazioni, fosse il testamento di Rimbaud. Questo bruciante libretto e poi il silenzio. Oggi - chissà se il mistero è stato risolto - mi piace pensare che l’estremo suo lascito al mondo siano state proprio le Illuminazioni. Quelle piccole prose di una bellezza muta e straziante. L’apollineo suo credere d’aver raggiunto ed aver posseduto “la verità in un’anima e un corpo”.

Alla mia epoca non c’erano né cellulari né tanto meno Internet. Rifletto spesso a come i sedicenni di oggi possano scoprire Rimbaud. Magari tramite un e-book scaricato gratis dalla rete. E come potranno sorprendersi per I poeti di sette anni. Il poeta fatalmente condannato a rimanere giovane in eterno è tutto lì.

E pensare, infine, a cosa proveranno quando capiranno che la stagione all’inferno nient’altro è che la stessa gioventù. Trovandosene improvvisamente fuori. Allora Rimbaud apparirà, anche a loro, un codardo.







Arthur Rimbaud
RIMBAUD MINORE?

di Vincenzo Ruggiero Perrino


Arthur Rimbaud e’ generalmente noto al grande pubblico per alcune sue opere in versi o in prosa (in particolare per Une saison en Enfer e Illuminations). Ma il suo catalogo e’ ricco di altre gemme altrettanto preziose, benche’ poco note al pubblico.

Innanzi tutto, ci sono le prose intitolate Les déserts de l’amour. Da alcune lettere, Ernest Delahaye, grande amico del poeta, ci informa che la redazione di questa serie in prosa risalirebbe alla primavera del 1871. Gran parte della critica pero’ è piu’ propensa a spostare la data di composizione all’anno seguente. Pertanto, Les déserts sarebbero coevi degli ultimi versi regolari scritti da Rimbaud. In effetti, le tematiche oniriche che pervadono le prose in esame sembrano fortemente imparentate con lo stile degli ultimi versi, e anticipano le opere maggiori, che di lì a poco vedranno la luce. Inoltre, Les déserts sono assolutamente perfetti da un punto di vista della maturita’ artistica del poeta. Perciò, si puo’ supporre che le prose risalgano almeno all’estate del 1872, se non sono addirittura successive. A riprova di quest’ultima tesi, una parte della critica fa notare come il breve autoritratto contenuto nell’Avertissement de Les déserts non sia poi tanto dissimile dal tono con cui il poeta parla di se stesso in quella grandiosa opera autobiografica che è la Saison. Considerando le coincidenze tematiche che sottendono sia a Les déserts che alla Saison (la giovinezza errabonda, il rifiuto della morale convenzionale, la noia e la morte, l’onirismo, l’impossibilita’ di amare, è possibile posticipare la data di scrittura di Les déserts de l’amour agli inizi del 1873.

Les déserts sono uno dei testi più perfetti di Rimbaud e consistono in una trascrizione, naturalmente trasposta in chiave artistica, di incubi a carattere sessuale. A dire il vero, più che di sogni veri e propri, frutto di un’attività onirica, potremmo dire che si tratta di quei confusi pensieri che vengono negli istanti tra la veglia e il sonno. Il carattere erotico è dichiarato fin dal principio dell’opera.

Naturalmente, potrebbe essere altrettanto giusta l’interpretazione, secondo la quale più che di sogni si dovrebbe parlare di visioni causate da droghe allucinogene. Infatti è lo stesso Rimbaud che dichiara: “Cadevo in sonni di più giorni e, alzato, continuavo i sogni più tristi.” Si tratta comunque di un erotismo a tratti sadico. Rimbaud rovescia a terra la serva e cerca di straziare le sue carni; fatta cadere la prostituta dal letto, si trascina con lei sul tappeto. Seguono, poi, il senso di colpa e la stanchezza per le azioni messe in atto. E soprattutto emerge la malinconia dovuta alla consapevolezza che un rapporto sentimentale “normale” gli viene negato, e lui è costretto alla più disperante solitudine (non a caso l’opera è intitolata Les déserts, titolo di per sé indicativo di una solitudine cosmica).

Stilisticamente, Rimbaud non si lascia andare alla verbosità, anzi fa uso di una scrittura quasi laconica, che privilegia le frasi brevi, quasi come fossero brandelli di sogni, i quali riemergono dalle oscurità di una memoria sepolta.

La seconda opera di poesia in prosa, anch’essa incompiuta come Les déserts de l’amour, è nota con il titolo di Proses évangéliques. Alcune parti manoscritte di queste prose si trovano sugli stessi fogli su cui è manoscritta la Saison. Perciò, sulla base di questa coincidenza “cartacea”, la maggior parte degli studiosi concorda nel ritenere che Rimbaud abbia scritto le prose evangeliche nella primavera del 1873, mentre attendeva alla Saison.

Il testo consiste, in pratica, in variazioni di alcuni brani evangelici dei primi capitoli del Vangelo di Giovanni. Il poeta, che aveva bestemmiato il Giusto, ed aveva tratteggiato con sarcasmo ingeneroso la religione cristiana nelle prime prove poetiche, tenta qui di abbozzare una storia di vita di Gesù, fedele (a suo modo) alle narrazioni giovannee.

Benché i frammenti a nostra disposizione abbiano un carattere ambiguo, che rende impossibile un’autentica comprensione del fine perseguito dall’autore nel redigere questi fogli, si deve per lo meno concordare sul fatto che, a questo punto della sua vicenda umana ed artistica, Rimbaud si decide ad affrontare il problema religioso (e, mutatis mutandi, è quella che farà, in parte, anche con la Saison). E lo fa scrivendo Gesù come un pesonaggio fortemente inquieto e problematico, che sembra quasi disprezzare I suoi contemporanei, poiché infinitamente inferiori a lui ed incapaci di comprenderlo e di elevarsi dalla rozza materialità in cui vivono. Gesù ha dovutoesercitare un fascino notevole su Rimbaud, che probabilmente dovette quanto meno riconsiderare in maniera meno istintiva la storicità del cristianesimo.

Anche nelle prose evangeliche lo stile ha delle peculiarità da non trascurare. Laddove ne Les déserts faceva uso di frasi concise, quasi che dovessero esprimere l’urgenza di fermare le visioni sulla carta prima che scomparissero del tutto dal ricordo, qui la revisione del testo evangelico passa attraverso uno stile allusivo, fatto di pazienti notazioni descrittive. E proprio la continua alternanza di oggettività descrittiva e allusività crea nel lettore quel senso di ambiguità imponderabile di cui si diceva prima.

Nell’inverno 1871-1872, Rimbaud partecipa alle riunioni del “Cercle zutique”, composto, tra gli altri da Verlaine ed Henri Cros. Il “Cercle zutique” era nato da una costola di un altro gruppo simile, I “Vilains Bonshommes”. Si trattava, in entrambi i casi, di circoli letterari, dove si discuteva di poesia, ma anche (e soprattutto) delle tensioni politiche di quel periodo caldo della storia francese. E si fumava oppio.

Ciascuno di questi circoli era solito tenere una sorta di album letterario collettivo, nel quale venivano raccolte operette satiriche, libertine e, più spesso, parodie di opere altrui.. Il “Cercle zutique” aveva il proprio album, al quale era stato dato, sulla prima pagina, il titolo di Album Zutique. La maggior parte dei testi contenuti nella raccolta ha carattere licenzioso, quando non apertamente blasfemo. Le parodie colpiscono volentieri poeti del calibro di Baudelaire, Corneille e lo stesso Verlaine. Il più maltrattato fu però un tale François Coppée, un poeta popolare, contro il quale Rimbaud in particolare indirizzò la propria irriverenza.

Per l’Album zutique, Rimbaud compose venti operette molto briose. Per lo più si tratta di semplici esercizi poetici, che nulla aggiungono al suo curriculum. Tanto più che le parodie scritte da Rimbaud, prendono di mira, salvo poche eccezioni, poeti sconosciuti ai più, per cui nemmeno è possibile al lettore contemporaneo godersi le storpiature prodotte dal genio ribelle, confrontandole con gli originali.

L’unico testo, dei venti, degno di nota è Remembrances du vieillard idiot, il quale, pur essendo una parodia, presenta interessanti spunti autobiografici. Questo autobiografismo si collega a quello di Les déserts, poiché contiene notazioni sulle ossessioni sessuali dell’infanzia del poeta. Ma anche qui, dopo I furiosi e scatenati rapporti, segue un gelido momento di solitudine che oscura la gioia dell’amore.

(1 gennaio 2006)


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